Eva Colombo, Tutti questi colori ci saranno sempre
 
Eva Colombo, Tutti questi colori ci saranno sempre
La mia tenda rossa è ancora grigia. È presto, è troppo presto. Là fuori una giornata di inizio autunno deve ancora cominciare. Non val la pena che tenga gli occhi aperti, i colori devono ancora svegliarsi. Tra poco la mia tenda diventerà rossa, io aprirò gli occhi e l’autunno mi tormenterà con i suoi colori che sono belli, insopportabilmente belli. Ed io vorrò sprofondare, sparire pur di non sentirmi costretta a guardarli perché i colori d’autunno hanno l’insostenibile intensità di qualcosa che sta per morire ma che non vuole morire… almeno non prima di aver impresso indelebilmente la propria bellezza negli occhi di chi osa guardarla mentre muore. Anche questo autunno passerà, mi dico, l’inverno ne spegnerà i colori ed io avrò una tregua. Ma sarà una tregua che durerà poco, lo so: l’inverno non sarà nemmeno a metà quando io percepirò di nuovo il calore di quei colori…sì, sarà così. Calpestando la terra incupita, appoggiando le mani sui tronchi intirizziti, guardando il cielo livido sentirò il calore di quei colori…e saprò che loro sono ancora lì, da qualche parte intorno a me. Saprò che tutti quei colori ci sono ancora e ci saranno sempre ed io li desidererò per sempre.
Must there be all these colours / without names without sound ? ( Jimi Hendrix, Love or confusion )
Ma adesso la mia tenda rossa è ancora grigia, i miei occhi sono ancora chiusi ed i versi di Hendrix si insinuano disturbanti all’ombra delle mie palpebre. Sincera, devo essere sincera con me stessa: so che alcuni colori sono sprofondati, sì, tanti anni fa e non sono più riuscita a ritrovarli perché non li ricordo, i miei occhi non possono ricordarli. È come un rimorso, uno strano rimorso: so che alcuni colori sono esistiti, so di averli amati…mi mancano, quanto mi mancano. Eppure non li ricordo, ad occhi aperti non saprei riconoscerli. Ma forse ad occhi chiusi… Groupies and Other Electric Ladies di Baron Wolman: foto senza colori come la mia tenda rossa che ora è grigia, come l’ombra delle mie palpebre. Foto scattate in un tempo lontano, un abisso di tempo…fisso questo abisso con gli occhi chiusi, e vedo. Vedo che lì sono sprofondati i colori che non ho ritrovato, i colori che amo ancora così tanto. Voglio farli riemergere, voglio sentirne ancora il calore…almeno finché dura questa fredda notte di inizio autunno, almeno finché la mia tenda rossa è ancora grigia.
I capelli di Karen Seltenrich. Devono essere stati rosso fuoco come i capelli della marchesa Luisa Casati Stampa ritratta da Augustus Edwin John, quella marchesa Casati che Gabriele d’Annunzio chiamava Coré ( appellativo di Persefone, la Signora del mondo sotterraneo ) perché grande appassionata di occultismo. Ed il rosso fuoco di quei capelli – i capelli di Karen, i capelli di Coré – è lo stesso rosso fuoco che al tramonto ho visto scintillare in una pozzanghera: l’ho visto per un istante prima che sprofondasse, prima che la terra lo occultasse amorevolmente sottraendolo allo sguardo raggelante del cielo di una notte d’autunno.
Le piume del boa di Lacy. Devono aver avuto lo stesso caldo color marrone delle piume del ventaglio della Monna Vanna di Dante Gabriel Rossetti, quella Monna Vanna che Dante Alighieri chiamava Primavera. Una Primavera che nel ritratto di Rossetti smuove l’aria dinanzi a sé con un ventaglio color delle foglie d’autunno per ricordare a chi la guarda che lei è più forte dell’autunno: lei ha il potere di far rivivere quel che l’aria fredda dell’autunno fa morire. Una Primavera che guarda oltre quel ventaglio con occhi chiari ed in quello sguardo c’è la certezza che all’alba il cielo si rischiarerà. Gli occhi chiari di Lacy ci guardano attraverso le piume che devono aver avuto il caldo color marrone delle foglie che aggrappate ai rami stanno sfidando in questo momento il vento freddo della notte, gli occhi chiari di Lacy tra le piume marroni sono il cielo che all’alba si rischiarerà dando ai rami spogli la certezza che la primavera ridarà loro quel che l’aria fredda dell’autunno ha rubato.
La rosa appesa alla fusciacca di Mercy Fontenot. Deve aver avuto lo stesso commovente pallore dei fiori infilati nella fusciacca della sacerdotessa che traccia The Magic Circle nel quadro di John William Waterhouse, il pallore dei fiori che non vogliono morire in una fredda notte d’autunno. E quelle fusciacche hanno la stessa lucentezza che al tramonto ha l’orizzonte quando abbraccia la terra e si strugge nel tentativo di trasfonderle il calore del sole sperando che durante la notte i fiori d’autunno non muoiano, non ancora.
Lo specchio delle gemelle Sanchez. Se gli occhi verdeazzurri di Laura e Lynn non fissassero noi ma si abbassassero allo specchio che tengono in mano, sicuramente quello specchio assumerebbe lo stesso colore verdeazzurro dell’acqua accarezzata dallo sguardo pietoso delle due ninfe ritratte da Waterhouse in Nymphs finding the head of Orpheus. La testa recisa di Orfeo canta ancora galleggiando su quell’acqua che è azzurra come il freddo della notte d’autunno e verde come le radici dei fiori che in primavera sbocciano di nuovo, sbocceranno sempre.
Apro gli occhi. Il sole ha acceso il rosso della mia tenda, una giornata d’autunno è appena cominciata. E tutti questi colori ci saranno sempre.